Questo libro non ha una vera trama, racconta poco, ma dice molto e fa pensare ancora di più. Fa riflettere sul fatto che oggi i giovani e quelli non tanto giovani sono impauriti, spaesati e faticano a trovare una traccia da seguire, uno scopo da assolvere e si perdono in apparenze o dietro a compiti minori tanto per non oziare.
Il nostro Giulio Maria è l’emblema della società giovane di oggi, un po’ sperduta, che non ha la forza di reagire. Ha un nome impossibile, sta con la mamma e pure con la vecchia prof. colta e saccente, fa un lavoro improbabile: catalogatore di esultanze di calciatori, ha trentasei anni ma ne dimostra cinquanta. Ha solo due meriti: una fidanzata con un po’ di grinta che forse riuscirà a salvarlo e a fargli trovare la sua strada e una giusta dose di humour.
Il vero protagonista del lungo racconto è Capannonia, con le sue nebbie, il lavoro che sta scomparendo: un “non-luogo” trasformato in archeologia industriale che solo i cinesi forse sapranno rilanciare. Insomma un racconto triste, quasi senza speranza: il canto del cigno di una zona d’Italia che fu prospera e che non lo è più; un’amara riflessione malinconica, ma con guizzi di luminosa ironia, di un ex giovane che non ha la forza e nemmeno la voglia di spiccare il volo per fare ripartire il proprio paese.