Nel leggere questo lungo romanzo come lettore-aspirante scrittore mi sono detto: vedi, come si descrive un paesaggio? Come i personaggi sono così vividi nei loro slanci, nelle loro debolezze, la loro inerzia, le loro crisi? Vedi come si fa a scrivere dialoghi naturali che non sembra di leggere ma di udirne le parole? E lo stile. Norwegian Wood è scritto come una lenta rapsodia jazz che ti immerge in un’atmosfera ovattata e malinconica, che ti si attacca addosso e ti dà sensazioni di colori e sfumature, di profumi e di maleodori, di sensazioni tattili. Un modo di scrivere, questo di Murakami, che unisce il corpo con lo spirito, i fiori con il fango, che ti immerge nelle poche gioie e nei tanti dolori della vita.
I personaggi non sono scolpiti come le caricature di Dickens, sono finissime statuine di porcellana che danno al lettore piacere e irritazione. Proprio nei personaggi ho trovato alcuni punti irritanti. Pensiamo a Reiko, ad esempio, la sua storia personale è ai limiti dell’assurdo e infonde incredulità, come pure la sua incapacità a farsi gli affari suoi. E’ un personaggio dalla doppia personalità, forse anche tripla. La scena finale di sesso sfrenato (quattro in una notte, niente male!) mi è apparsa l’unica fra tutte le scene di sesso esplicito descritte, un po’ di cattivo gusto, ma è un parere molto personale.
Il personaggio di Sturmtruppen viene introdotto e poi scompare nel nulla lasciando un vuoto (certamente voluto dall’autore) che non mi ha convinto del tutto.
Watanabe viene disegnato come un giovane che possiede un rigore morale inossidabile ma accetta tutto da tutti con una facilità davvero imbarazzante.
Midori è invece vera e credibile: una femmina moderna che proprio attraverso il dolore e la sua caparbietà cresce verso il conseguimento di una maturità positiva.
Naoko è la figura più “giapponese della galleria (insieme all’amabile fidanzata di Nagasawa, Hatsumi). Fragile e sensibile fino all’alterazione, si capisce fin da subito che sarebbe stata la vittima sacrificale per la salvezza del protagonista.
Una cosa che non mi è piaciuta della trama è l’inizio, che parte dalla maturità di Watanabe e che poi viene come dimenticato nel proseguire della storia.
Insomma Murakami ha scritto un romanzo delicato, a tratti irritante; poetico e materialista, addirittura carnale e laicissimo, dove la spiritualità è rivolta alla Natura e al ricordo delle persone amate; non c’è niente di strettamente religioso. E’ un romanzo colorato e sfumato, profumato e maleodorante; un caleidoscopio sfaccettato che perde però qualche pezzo in qua e là.
Il messaggio. Il libro tratta del tema della mancanza. Il messaggio che se ne ricava è che vivendo siamo condotti ad affrontare molti tipi di mancanze: la mancanza dell’amore prima di tutto, dell’amicizia, della famiglia, degli ideali, dell’orientamento esistenziale. Possiamo ovviare a tutto questo con la rinuncia (e non è la soluzione migliore), o con la paziente ricerca di altri amori, di altri ideali, di altre mete. Murakami afferma che ce la possiamo fare solo con l’aiuto di persone positive che sappiano guardare oltre le convenzioni e guidarci.