La protagonista è una giovane donna intelligente e spiritosa ma incapace di avere dei rapporti sociali normali. Vive a Glasgow, come la sua autrice, lavora in un ufficio di graphic design e si accontenta del suo ruolo anche se confessa di occuparsi di “back office”, un ruolo non certo creativo. Il fine settimana lo trascorre bevendo vodka, chiusa in casa senza parlare con nessuno.
Il libro è un colloquio continuo, stretto, ossessivo che E. ha con se stessa e quindi anche con il lettore. È una lunga confessione attraverso la quale parla di sé, degli altri e del mondo, sciorinando una serie di giudizi taglienti, resi godibili dalla sua acuta ironia tutta femminile e da uno humour impietoso.
Ella inizia affermando che Bob, il suo datore di lavoro, le ha dato l’impiego perché deve aver provato pena per lei.
I giudizi sono netti su qualunque cosa, come quello che riguarda il modo in cui i suoi colleghi si fanno il tè. “Ignoranti come sono si accontentano di tuffare una bustina di pessimo tè in una tazza, arroventarla di acqua bollente per poi diluire qualsiasi aroma sopravvissuto aggiungendo latte freddo di frigorifero”.
Eleanor ha anche dei segreti, che non condivide con nessuno dei personaggi di contorno e che riguardano in modo particolare la madre con la quale parla al telefono rigorosamente ogni mercoledì. Questa odiosa mammina la chiama da una prigione non ben specificata perché deve aver commesso un delitto indicibile. Ne nasce un rapporto sofferto e cinico, che avvolge il lettore in un’aura di crudele sarcasmo che dà i brividi.
E. la definiremmo un personaggio in disagio che si arrende di fronte alle difficoltà della vita per il timore di subire brucianti sconfitte, tuttavia nutre anche un sogno, una pura, infantile illusione amorosa. Si è infatuata di un musicista leggendo i suoi tweet e si autoconvince che prima o poi lui capirà di dovere amare questo essere unico e il romance fiorirà come in una fiaba.
Incredibilmente, nonostante la solitudine, nonostante le telefonate lancinanti con la madre, nonostante che l’amore resti solo un sogno irraggiungibile, E. afferma di stare bene, anzi benissimo. Afferma di non aver bisogno di nessuno e si definisce un’entità autosufficiente.
E. O. appartiene a un genere letterario che la critica e i lettori hanno battezzato “tendenza up-lit” (che sta per uplifting, quindi “letteratura edificante”, romanzi che, chiusa l’ultima pagina, fanno stare meglio).
Secondo i critici i libri up-lit piacciono perché pur parlando di cose serie ci rendono ottimisti verso l’animo umano, ci mostrano la luce in fondo al tunnel e ci distraggono dalle cose brutte e noiose della vita. Secondo Gaia Manzini su Repubblica E. riesce a rintracciare la solitudine che appartiene a tutti noi. Questo più di tutto unisce il lettore al personaggio e lo rende affascinante.
E. passa spesso da una finta gioiosa ipocrisia alla consapevolezza di stare vivendo nel dolore più angosciante. Sono questi passaggi bipolari che ci avvincono e ci commuovono, che ci uniscono a lei in una amicizia che va oltre le nostre tendenze caratteriali di lettori.
Questo libro, che è stato eletto libro dell’anno al British Book Awards, è un successo travolgente in tutto il mondo, un page-turner che costringe il lettore a non staccarsi dalle sue pagine se non quando ha finito di leggere.
Secondo i miei gusti personali, contiene anche dei passaggi di narrazione da manuale in cui l’autrice, dopo aver deposto le armi del l’ironia, pone la protagonista nuda, inerme sull’altare della nostra umana indifferenza per svelare quanto intensa e ricca possa essere l’anima fragile di una donna.