Gruppo scrittura Scarabeus 2019-20
Nono incontro
ANITA MATTEELLI
Lievi riflessioni
Il pensiero di Giacomo Leopardi da”… il venditore di almanacchi nelle Operette morali di Leopardi.
Sarà bella la vita che non conosciamo “futuro” rispetto a quella che si conosce passato?”
Alla vita che è passata non si dovrebbe più pensare, ma come si fa?
Si usa dire spesso quando qualcuno ha passato un periodo difficile: “guarda avanti, non voltarti indietro ecc.”
Fa parte di noi, si è vissuta e non si può ignorare, ne tanto meno cancellare, non sarebbe nemmeno giusto, disponendoci comunque a vivere in avanti.
Nel bene, nel male la vita passata, ha lasciato dei segni, tracce di dolore, ricordi felici, rughe di sorrisi intorno agli occhi e alla bocca, occhiaie di pianto e, tutto insieme ci ha costretto a crescere a divenire come siamo al presente, qualcuno si piace, altri no, qualcuno è orgoglioso altri arrabbiati, questa è la vita, ognuno il suo destino, c’è chi l’ha combattuto, c’è chi non ne ha avuto le forze e il coraggio!
Non so se essere d’accordo con il pensiero di Giacomo Leopardi, che mi perdoni.
Come si fa a pensare che sia bella la vita che non si conosce e non la vita passata che conosciamo?
Certo, in genere siamo portati a sognare, a desiderare, a sperare che la vita futura possa essere più bella, avulsa da dolori, complicazioni, con magiche sorprese per stupirci e renderci felici. diciamo piuttosto che bello è il sogno.
Il futuro è bello perché lo si immagina sognando come vorremmo che fosse e, certamente quello che vediamo nella nostra fantasia golosa di bello, è la favola, una di quelle che ci hanno raccontato da piccoli, favole senza orchi, ma con principi azzurri, dove la fine è quasi sempre” e vissero tutti felici e contenti.” Ma non funziona così!
Io penso ai tanti futuri che ci sono stati durante la vita, che non sempre hanno donato il sogno, la favola, anzi spesso sono stati anche più deludenti e faticosi di altri futuri divenuti passato.
Di quei futuri in cui, negli auguri ad ogni inizio di anno, ognuno si scambia, dove ogni espressione è rivolta ad augurare tutto il bello: salute, serenità, sorrisi, soldi, amore, quanto ad ogni fine d’anno sarà stato “il bello che non si conosce? “
ARTURO FALASCHI
Quella vita che è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata ma la futura. Con l’anno nuovo, il caso comincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri e comincerà la vita felice. Non è vero?
La speranza, certo, il dolce farmaco, leggermente inebriante, il vino frizzante che alleggerisce il disagio del presente e i dolori del passato.
Speranza non è certezza; speranza che a mano a mano cede spazio se la certezza avanza.
Finché, nell’idea di progresso la certezza vince la partita.
L’anno prossimo sarà sicuramente migliore del precedente secondo le “magnifiche sorti e progressive”. E l’anno ancora a venire segnerà un ulteriore passo in avanti e così i successivi in un viaggio senza fine: un viaggio senza meta.
Così ogni anno vissuto è stato e sarà un anno mancato, imperfetto, mutilato, insoddisfacente se il progresso sarà ancora auspicabile e necessario. L’idea di progresso che alimenta sé stessa e la corsa cieca verso il non si sa che cosa. Intanto, nell’ansia dell’andare, il panorama fugge via nell’attimo che si fa sempre più breve e più incalzante. Con l’attimo, fugge via la vita stessa.
La speranza è altra cosa: è immobile attesa dell’evento che verrà, che ci raggiungerà e si farà presente. Non si corre verso la speranza e la speranza uccide sé stessa quando entra nella realtà. La speranza esaudita è fine dell’attesa, del suo immaginario viaggio: è stabile soddisfazione. Senza speranza ulteriore.
Quella stessa soddisfazione che l’idea di progresso vede come veleno.
Eppure anche la speranza stessa è insoddisfazione, svalutazione del presente e del passato, manchevoli di ciò che la speranza spera.
Ma la vita è quella che è, quella che è stata e che fu. Vano è volgere lo sguardo su ciò che mancò e su ciò che fu di troppo. La vita vuole essere osservata, coinvolta, partecipata, gustata. La vita vuole essere vissuta per quello ci presenta.
Non nella corsa, nella distrazione, nell’anelito al domani, sia sperato sia costruito, ma nello stare. Nella sosta obbligata di questi strani giorni. Sosta che sarebbe più proficua se non fosse obbligata. Sosta che non dovrebbe essere tradita da mille geniali espedienti per annacquare il dolce del suo sapore.
Fermi a guardare l’esistenza, la propria nuda esistenza, si scopre che la vita è bella. Si scopre che la speranza è un solo un piccolo soprammobile che ingraziosisce appena appena l’insieme; che l’idea di progresso è la benda sull’occhio del pirata avido di tesori, del corsaro che non si arresta mai, solca il mare e non lo vede, l’occhio perso nel cannocchiale che scruta l’orizzonte lontano.
La vita è bella e se fosse possibile viverla ancora, così come è, così come fu, dobbiamo pronunciare un si convinto. Ci fu il dolore, certo, ci fu e c’è. Meglio sarebbe che non ci fosse, non ci fosse stato. Ma se è un prezzo da pagare, paghiamolo, magari contrattando un cospicuo sconto.
La vita è bella e la vita è tutto. Nemmeno le considerazioni più negative sarebbero possibile senza la vita. Nemmeno la speranza, nemmeno la scontata idea di progresso.
“Senza la vita …” che frase assurda! Niente senza la vita. Tutto dalla vita.
La vita è la causa necessaria del mio vedere, percepire, amare e, perché no, soffrire.
Il mondo, la natura così bella oggi in questa eterna primavera nascente, non ci sarebbero senza il mio sguardo che la vede, senza il tuo sguardo che la vede. Senza la nostra vita.
Non tanto loro indispensabili alla vita quanto la vita indispensabile a loro. La nostra intramontabile vita da gustare appieno nel silenzio, nella solitudine, nell’arresto della folle corsa.
Ancora e ancora, tutto ciò che è stato, di nuovo. Ancora perché a ciò che fu non c’è alternativa. Perché al di là c’è solo il nulla e tutto il nostro essere rifugge dalla sola idea del nulla: inconcepibile assenza.
Vogliamo il nostro passato come vogliamo il nostro futuro. L’abbiamo costruito con le nostre mani, ci appartiene e non accettiamo che ci venga tolto. Da quello stesso tempo che vuole l’assurdo del progresso e della speranza.
Allora dilatiamo questo fermo presente senza viaggio, in una stabile presenza dove tutto ciò che di noi fu e di noi sarà permane, per sempre al riparo dalla rapina del trascorrere.
Con occhi e cuore bene aperti, facciamolo nostro.
NADIA PAOLACCI
Sollecitazione: “ Quella vita che è una cosa bella non è la vita che si conosce , ma quella che non si conosce ……” Giacomo Leopardi
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<< La mia vita è trascorsa in tutti questi anni, con periodi belli e brutti, ma se faccio un bilancio, quelli belli sono stati molti di più. Ho conosciuto fatti e persone che hanno dato un significato alla mia esistenza. Gli anni si sono susseguiti fino ad oggi che ho i capelli bianchi.
Ho conosciuto persone importanti, o semplici uomini e donne, che mi hanno raccontato i loro fatti personali senza timori o vergogne, come se stessero dettando la loro vita a un personale diario segreto, senza timore alcuno.
Hanno illuminatole mie giornate grigie, quando aspettavo il triste arrivo della sera , come la fine di una vita lunga e forse nemmeno desiderata troppo, vissuta con lo scandire delle stagioni, che si sono sempre susseguite nello stesso modo. Sapevo già che l’anno successivo e quelli ancora dopo, avrebbero avuto la stessa impronta, il movimento del sole, della luna e degli astri che ci accompagnano.
Salvo il mio struggimento per cercare di prevedere quei fatti che mi sarebbero successi, a volte sorprendenti, che hanno formato il mio carattere.
Carattere un po’ curioso perché spesso mi sono soffermato su quello che sarà il mio futuro dopo questa parentesi, che senza pensarci troppo chiamiamo semplicemente vita.
Ma esiste una vita futura, diversa o uguale a questa? Sarà più brutta, per scontare colpe che ho commesso? O sarà piena di luce, fiori, figure vaghe che sorridono felici in una sterminata pianura di luce, dove non esiste ieri e il domani, dove tutto è immobile ma in continua evoluzione fino a che non si raggiunge la fine di una strada che non ha termine, fino a che l’Ordine Supremo, che ha creato, disposto, previsto affinché tutto funzionasse per un tempo incalcolabile in uno spazio senza limiti, deciderà che la fine è arrivata.
E allora chi saprà capire e spiegare ai semplici il perché questa Mente che ha osato sfidare l’impossibile, ha preso il controllo di una dimensione che non è misurabile anche ai grandi pensatori , scienziati e matematici.
Nella ristrettezza di quello che posso capire con le mie modeste possibilità che la natura ha voluto concedermi, e che la vita mi ha dato, il mio grande desiderio è quello che da qualche altra parte dove arriveremo, sarà autentica gioia per tutti.
Ma tutti la pensano che me? Molti, forse per convinzione o per indecisione, non danno un reale significato al semplice fatto di essere stati costretti a presentarsi al cospetto degli altri che lo circonderanno per anni ed anni, frammento invisibile di quella che è la grandezza del tempo che ha consumato e consumerà quello che noi chiamiamo secoli.
Allora non danno importanza a quello che ci circonda, l’esplosione della natura che ci regala da sempre la gioia che dà il profumo di un campo di lavanda , la visione di mille colori dei fiori, dei variopinti disegni delle ali delle farfalle, il cinguettio dei passeri, che salutano il ritrovato tepore dell’aria, e la cura dei nuovi arrivati.
Sono pronti a lacerare con piacere tutto quello che possono raggiungere, senza riflettere che stanno facendo un danno anche a loro stessi, solo con lo scopo dell’effimero godimento del possesso del denaro…tanto dopo di questo c’è il nulla.
E se invece non fosse così?
Meglio invece, guardare con simpatia anche uno sconosciuto, sorridere nel dare il passo sul marciapiede ad una indecisa donna, curva sotto il peso degli anni, elevare un pensiero al domani, dove anche questi piccoli gesti avranno una enorme importanza quando qualcuno peserà e valuterà minuto per minuto la nostra vita passata.
Ma a volte mi domando, quando ci sarà la fine, la vera e definitiva fine, cosa sarà di noi?
Il tempo era passato tra i colpi di un piccolo martello, tra l’odore della colla, tra il profumo dei fiori di un balcone vicino.
Ecco, signora, i tacchi dei suoi sandali sono pronti. Abbia pazienza se l’ho annoiata con il parlare dei miei pensieri. >>
MILENA VOX
QUARESIMA
IERI
L’aria di primavera ci avvolgeva morbidamente, filtrava attraverso i nostri vestiti permeando ogni più piccola fibra del nostro corpo, comunicandoci una dolce, struggente sensazione di vita, di speranza, di desiderio di infinito. Gli alberi in fiore spandevano con il loro dolce profumo voglia di pace, di fratellanza, di conciliazione.
Anche il nostro abbigliamento si rinnovava: si andava dalla sarta perché, scegliendo fra i figurini di moda, confezionasse il tailleur da sfoggiare vezzosamente il giorno di Pasqua; borsa nuova, scarpe nuove. Ricordo un tailleur verde: gonna a godet, giacchina corta doppio petto, andrebbe bene anche ora. Mi sentivo elegante in quel tailleur!
E poi c’erano i riti della Settimana Santa, chiese affollate, il giovedì tutti a celebrare l’ultima Cena e la lavanda dei piedi, il venerdì santo con il rituale di “visita alle sette chiese”. Si sciamava in gruppo, noi ragazze dell’Azione Cattolica, speranzose senza dircelo, di incrociare i giovani dediti alla stessa pratica. Un’occasione di dialogo, di risate, di guardi. Beata leggerezza della gioventù!
E finalmente la Pasqua con le celebrazioni solenni, a cantare nel coro parrocchiale, a chiacchierare fra giovani alla fine della Messa, guardate con sospetto dalle beghine che ripetevano lo stesso ritornello: “la paglia vicino al fuoco brucia”, solerti nel riferire al parroco di avvicinamenti sospetti e pericolosi, cui seguiva noiosa paternale.
QUARESIMA
OGGI
Chiusi in casa, c’è il sole ma non si può uscire, Guanti, Mascherina. Niente abbracci, niente strette di mani. Lavarle spesso e a lungo. Disinfettante. Mi si stanno screpolando. Paura.
Presa di coscienza che non finirà tanto presto. Telegiornali angoscianti.
Paura per il figliolo che lavora in una RSA, ma lui sostiene che sia il posto più sicuro perché i vecchietti non escono né possono ricevere visite, sono agitati poverini!
Distanza di sicurezza. Le mascherine non si trovano, le facciamo artigianalmente, serviranno? Pensiero per i gatti, se mi dovesse succedere qualcosa, che fine faranno? Pensiero stupido? Sono i miei compagni.
Il virus ride di noi. Punizione per la nostra vista spensierata, tante parole e poco o nessun impegno, piena di cose inutili, rancori futili, sterili discussioni.
Troppi caffè, molte sigarette, mi sto intossicando. Eliminiamo il caffè. Le sigarette, spero. Vedremo se ne sarò capace. Scopro nuove rughe, il dischetto struccante non si sporca alla sera come invece succedeva quando uscivo spesso. Leggiucchio, metto in ordine un po’ in qua, un po’ in là. Panni da stirare, lo farò. Prego più del solito, chiedo misericordia per le colpe di tutti gli uomini. Speriamo Qualcuno lassù ci aiuti.
Vera Quaresima
LUCIANA RUSSO
Una volta un indovino mi disse: il futuro è già scritto basta saperlo leggere. Io guardai i suoi occhi neri e taglienti di zingaro e per la prima volta ebbi paura.
Quella cena me la ricordo benissimo. Tutti i colleghi erano presenti poiché si festeggiava un pensionamento. Alla fine del pasto sontuoso e innaffiato da abbondanti bevute Carli, collega di matematica, alzò la voce e disse < tutti zitti, apposta per voi abbiamo invitato il famoso mago Omar che predirà il futuro a chi lo richiederà>
Un coro di si e di no accolse la notizia ma ormai era fatta e uno strano personaggio già avanzava verso di noi.
Vestito di un completo grigio classico, e a giudicare dalla stoffa abbastanza costoso, il mago era diverso da noi solo per l’enorme turbante dorato che portava sulla testa. Una maschera blu e nera gli copriva quasi tutto il viso. Si intravedevano gli occhi che erano nerissimi e seri. Un brivido mi colse perché sembrava che mi fissassero. Per prima avanzò la festeggiata accompagnata da un coro vociante. Gli fece un inchino reverenziale e porse la sua mano sinistra. Il mago, compiaciuto, con voce calda e sonora gli predisse che dopo il pensionamento avendo più tempo libero avrebbe fatto un bel viaggio. Un coro di < eh ma questo lo potevamo dire anche noi. Ci dica qualcosa di più piccante>.
<ma lasciatemi finire. Ebbene cara signora per la prima volta in vita sua lei s’innamorerà>. La collega arrossendo replicò che lei era stata molto innamorata del marito e che lo era tutt’ora ma il mago la licenziò con un gesto secco della mano. Inaudito pensai ma l’atmosfera intanto intorno al mago si raffreddò notevolmente.
Mi girai per uscire dal cerchio di persone quando quella voce apostrofandomi mi chiese <Hai paura?> Oddio pensai ce l’ha con me e con aria spavalda risposi < Chi io? Ma no, semplicemente non mi interessa. Però guardi invece di predire il futuro, che forse in quello sono tutti capaci mi dica qualcosa del mio passato >
<non è quello che sto facendo? Io ho parlato del passato della sua amica ed era facile predire un colpo di testa durante il viaggio. Noi maghi in realtà partiamo sempre dal passato che contiene già il futuro. La nostra arte consiste nel leggere attentamente la storia passata ed esserne coscienti in modo da prevedere quello che accadrà>
<Ma allora ne dovremo essere capaci tutti. Voi non siete dei maghi, non sapete un bel niente>
<Mia cara amica saputella e ignorante se tutti praticassimo l’arte di leggere il passato la nostra storia sarebbe ben diversa ma purtroppo noi viviamo osserviamo e ingoiamo tutti i fatti di cui veniamo a conoscenza pronti a ingoiarne di sempre nuovi. Ormai è scomparsa anche la meraviglia del nuovo. Non ci stupiamo più.
Lei si è forse fermata a leggere la storia di quel bambino piccolo, morto su una spiaggia greca e immortalata da una foto fatta da un fotografo di guerra? Sono sicuro di no. Certo ha pensato che orrore povero piccolo e subito si è fatta distrarre da altre foto simili, dalla foto del famoso attore con l’oscar, dalla scoperta delle onde magnetiche etc.. Voi mettete tutto insieme ma in realtà la storia intorno a voi non la vivete, siete già degli zombie che vivono molto spesso delle morti e delle disgrazie altrui. Se lei avesse visto veramente la foto con il bambino anche lei sarebbe diventata una maga, con facilità avrebbe visto il futuro di quella terra che non accolse il piccolo e il destino di quelle persone accomunate da quel triste esodo>.
Era vero ma come faceva a sapere che la mia amica non era mai stata innamorata? L’aveva osservata forse per tanti anni? Non feci in tempo a chiederglielo che qualcuno per smascherarlo gli fece cadere la maschera che portava e tutti videro che altri non era che il marito della festeggiata. Vergognandomi per lui mi allontanai. Non volevo vedere gli sfottò che sarebbero seguiti. Però era vero che conoscendo il passato lui aveva visto la fine del suo matrimonio e le parole che aveva detto su come vivevamo il nostro passato, la storia erano vere. Come era altrettanto vero che tutti noi non saremo mai stati dei maghi.
PAOLO BARONI
Zamos
L’indovino mi disse: «Il futuro è già scritto, basta saperlo leggere. Venga, young lady, tocchi il mazzo di carte».
Io guardai i suoi occhi neri e taglienti di zingaro ed ebbi un sussulto. “Eccomi qui davanti a un sedicente chiromante che mi vuole rivelare ciò che non si può rivelare – pensai – ma perché questo timore?”. Già perché la situazione mi agitava? Perché sentivo un sudore freddo che mi scivolava giù lungo la schiena?
«Io non voglio sapere che cosa mi aspetta nei giorni a venire ma la cosa che più conta è che sono convinta che un perfetto sconosciuto non sia in grado di “leggere” ciò che non esiste ancora», gli dissi tutto d’un fiato con la voce tremante.
Prima di proseguire nel mio racconto, però, devo dirvi come e perché ero capitata davanti a uno zingaro da baraccone che mi porgeva un mazzo di Tarocchi e mi fissava con uno sguardo magnetico tanto da mettermi in soggezione.
Io non amo i Luna Park ma quella volta era diverso. Ero stata invitata dal ragazzo che mi piaceva dal primo istante che era entrato nel mio campo visivo. Un tipo speciale, di quelli che quando ti passano accanto ti fanno prudere lo stomaco da dentro. «Cinzia vuoi venire al Luna Park – mi aveva detto alla fine dell’assemblea d’istituto – è l’ultimo giorno, poi levano le tende, mi piacerebbe ci andassimo insieme».
Per un momento lungo quanto un’interrogazione di latino, non seppi se buttargli le braccia al collo o se fare la preziosa. Scelsi la via di mezzo. Raccolsi quel poco di fiato che mi era rimasto in gola e, facendo finta di pensare per consultare un’agenda mnemonica, biascicai: «Hai detto sabato? Sì, certo, non ho altri…». Senza farmi finire di pronunciare la parola “impegni”, Maskio, come tutti chiamavano e scrivevano il nome di Massimiliano Chiossi, il ragazzo più sbirciato dalle alunne della mia classe, della scuola e pure da qualche mamma, sbraitò: «E vai!». Il grido sorpassò in decibel il rumore di fondo dell’assemblea. «Dopo domani alla Baracchina alle dieci, dopo cena», aggiunse e, senza aspettare un mio cenno di assenso, scomparve fra schiene e zaini di tutti i colori.
Il mitico Maskio, di nome e di fatto, il bello della classe, aveva invitato me ad andare al Luna park. Io, Cinzia Cecconi, “la secchiona”, “quella con le treccine”. “Una scommessa – pensai – o uno scherzo. Oppure mi chiederà qualcosa in cambio… tipo «Mi passi la ricerca di Scienze? Mi presti i tuoi appunti di Filosofia?». Ma qualsiasi fosse il motivo, quell’invito mi avrebbe fatto salire di molto nella graduatoria sociale della scuola. Ne sarebbe valsa la pena.
La sera di sabato arrivai alla Baracchina con un quarto d’ora d’anticipo. Mi nascosi fra il gruppo dei miei coetanei e quei pochi che mi conoscevano stentarono a riconoscermi. Nel pomeriggio ero passata dal mio parrucchiere-estetista che, dopo avermi festeggiato come si fa con un cervello in fuga che ritorna in patria dopo anni di esilio, mi aveva reso irriconoscibile. Via le trecce, sopracciglia rifilate, brufoli nascosti, labbra scintillanti, pelle luminosa. Un miracolo. A casa, mio fratello mi aveva accolto con un fischio come fossi una bellezza da urlo.
Massimiliano (odio la contrazione Maskio, specialmente se scritto con la k) arrivò puntuale. Quando mi vide esitò, ma senza esagerare, da vero gentleman. Non si deve mai mostrare stupore verso una ragazza che ha speso tutta la paghetta mensile dall’estetista. Mi disse semplicemente: «Sei uno splendore» e questo mi ripagò della mia sofferta mutazione.
Al Luna park ci aspettava un’altra coppia. Marina della quinta A che stava abbracciata a un certo Kevin dall’aspetto di uno che lavora di braccia che, a prima vista, mi ricordò il bambolotto Big Jim che mio fratello da vent’anni conservava in soffitta. Più tardi, all’autoscontro, si unirono alla compagnia due ragazzi amici di Massimiliano che mi furono presentati come universitari, identificati da due nomi da comica finale: Lupo e Jonata. Proprio così, secondo la pronuncia del padrone del nome, Jonata, senza acca e senza n. Insomma una combriccola di gioventù variegata e tatuata. Tutti sensibilmente lontani dalle mie solite compagnie.
Ma veniamo all’indovino. Fu Kevin che, appena usciti dal labirinto degli specchi, si avvicinò alla baracchina del “mago” e urlò: «Venite, voglio conoscere il mio futuro!».
Una scritta luminescente sfrigolava nervosa sopra a una finestrella che mi riportò alla mente il teatrino dei burattini. Zamos: per cinque euro, futuro e segreti.
Lupo raggiunse per primo la cattedra di legno dipinto che incoronava il mezzobusto di Zamos, un gitano dagli occhi profondi e la barba nerissima raccolta da un anello sotto il mento. Teneva in mano un mazzo di carte che faceva apparire e scomparire dentro le maniche larghe di una tunica di raso rosso e oro. Quando il divinatore parlò, la sua voce sembrava provenire da un’extra dimensione, tanto era profonda e calda. «Tu metti cinque euro nell’ampolla di vetro e tocca il mazzo di carte, giovanotto», disse con chiaro accento ROM il sedicente indovino. Lupo esitò un attimo di troppo. Marina spinse in avanti il suo lui tutto muscoli e maglietta e Kevin esegui un po’ di malavoglia la richiesta del mago. Zamos calò quattro carte sul bancone difronte a lui, poi ne aggiunse altre tre. Nessuno di noi da sotto poteva vedere quello che le carte raffiguravano. Infine il gitano pronunciò la sua divinazione. «Il tuo futuro è facile da leggere. Tu cerchi il denaro e il denaro troverai. Ma come il denaro viene sappi che il denaro va».
«E i segreti?», chiese la sua ragazza incuriosita che si era intanto avvicinata a Kevin.
«Il tuo uomo ha un segreto che si chiama con un nome di donna», fu la frase conclusiva di Zamos.
Marina rossa di rabbia prese per un braccio il povero Kevin e lo trascinò via con sé.
«Ma non ha detto niente di che», piagnucolò il povero Big Jim mentre cercava di porre una debole resistenza.
«È vero niente di niente, – intervenne il mio accompagnatore con tono polemico – solo frasi che vanno bene per tutti. Ma che razza di rivelazione è mai questa?».
«A te leggo gratis, mister.», sibilò lo zingaro spalancando gli occhi a mo’ di sfida e gli porse il mazzo coperto sul palmo della mano. Massimiliano accettò la provocazione è sfiorò le carte con la punta delle dita. Seguì il pacato, lento rituale della posa delle sette carte sul banco e le parole della divinazione, come pronunciate dal profondo di una grotta. «Quella vita che è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata ma la futura. Il caso ti comincerà a trattar bene. Comincerà la vita felice».
Da secchiona come ero e come sono, riconobbi la frase. Era presa, parola più e parola meno dalle Operette morali di Giacomo Leopardi. Ma mi astenni dal rivelarlo per non fare la parte della saccente boriosa. Poi, senza che me ne rendessi conto, non io ma la mia voce si rivolse a Zamos e chiese: «E il segreto?».
«Il segreto… certo. Da stasera mister non hai più segreti», sentenziò Zamos guardando Massimiliano fisso negli occhi. Poi si rivolse a me e pronunciò la frase che ho scritto all’inizio del mio racconto.
A quel punto Massimiliano estrasse cinque euro dal portafoglio e li infilò nell’ampolla, poi mi prese per mano e mi trascinò via da Zamos e dagli altri compagni.
«Vieni, andiamo nel tunnel dell’amore – mi sussurro all’orecchio – ho un segreto da dirti».
Io lo seguii come un cagnolino, e capii che Zamos era un grande figlio di buona donna, ma di certo sapeva osservare le persone.
SIMONETTA MANASIA
Professioni Importanti
In queste lunghe giornate in casa, causa il coronavirus, Alda e suo figlio per passare il tempo guardano un film alla televisione, di Benigni il cui titolo è “ LA VITA È BELLA”.
Giuseppe il figlio adolescente ogni volta si commuove nel vedere gli occhi pieni di felicità di quel bambino all’apparire del carro armato, ignaro della tragedia intorno a lui.
Siamo in guerra anche tutti noi, oggi, contro un nemico invisibile
E oggi come allora vi sono eroi, combattenti che dedicano la loro vita agli altri.
I continui messaggi che arrivano da ogni mezzo di comunicazione fanno riflettere.
Beppe così lo chiama amichevolmente il figlio, si rivolge alla madre, improvvisamente, esprimendo il suo desiderio di fare il medico.
“Bravissimo “ risponde lei commossa.
Vorrei fare però il medico specializzato in psichiatria perché il popolo italiano nonostante sia meraviglioso mette in atto comportamenti errati , credendosi furbo non rispettando le regole.
Alcuni non comprendono la gravità della situazione e continua a uscire di casa, a correre per i parchi e ad inventarsi scuse per prendere un po’ d’aria.
Quindi necessita di curare il cervello prima dei polmoni e io mi dedicherò a questo facendo diminuire i cretini che appartengono alla nostra nazione.
Sai ,risponde la madre io da piccola volevo fare lo chef perché amavo amalgamare alcuni ingredienti e fornire un prodotto finito gradevole alla vista e al palato.
Hai molta ragione, figlio mio, bisognerebbe rimpastare l’italiano venuto male e seguire con più precisione la ricetta . Sono necessari i seguenti elementi:
300 gr di rispetto per gli altri
200 gr di spirito di sacrificio
500 gr di sale in zucca
Procedimento : mescolare queste qualità e aggiungere un lievito pieno di amore e passione che renderà la torta soffice e squisita.
Alda è contentissima per la scelta del figlio e lo aiuterà a realizzare perché noi ce la faremo e tu contribuirai a migliorare il nostro vivere insieme, orgogliosi di essere italiani.
Te sei la migliore ricetta che abbia mai eseguito rendendola piacevole al palato e facendo assaporare a tutti i commensali, le qualità delle materie prime.
Sono, una brava chef e tu sarai un buon psichiatra.
Lasceremo alle nostre spalle questo periodo così nero ma saremo fiduciosi per il futuro.
Questo brutto presente ci farà apprezzare i valori più importanti della vita: la solidarietà, la dedizione amore verso i nostri cari superando le incomprensioni, la responsabilità e tanto altro.
Il denaro che oggi è al primo posto della scala dei valori precipiterà all’ultimo posto e se anche andremo incontro ad un periodo economico disagiato noi ce la faremo e ricostruiremo sulle rovine di oggi il nostro domani, come hanno fatto i nostri nonni durante e dopo le guerre mondiali.
Alda e Giuseppe urlano dal balcone la solita frase che circola e induce alla speranza:
“ANDRÀ TUTTO BENE”
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