Pessimismo
Il romanzo si costruisce intorno alla ricerca di sé utilizzando brandelli di ricordi, flash di episodi sporadici, foto, nomi, voci, profumi, colori e suoni che il protagonista, un detective che ha perso la memoria, cerca di mettere insieme al fine di dare loro la forma di un’esistenza.
Modiano afferma che noi veniamo dal nulla e torniamo nel nulla; fra questi due assoluti, c’è solo il flebile barlume della vita, l’unica luce relativa nel buio dell’assoluto. Il protagonista vuole dare un senso al suo barlume perduto e lo fa attraverso un’indagine di tipo poliziesco, un ricerca pignola ma allo stesso tempo confusa, come può esserlo la ricerca di chi brancola nel buio.
Nella postfazione Giorgio Montefoschi scrive che Via delle botteghe oscure è un romanzo proustiano e felliniano al tempo stesso. Nel primo caso, perché utilizza la memoria e il ricordo per giungere all’essenza della vita: come in Proust, anche in Modiano il ricordo è frammentario e svanisce nel momento in cui viene rievocato. Nel secondo caso, come in 8 ½, la ricerca di un significato non porta ad una meta concreta ma al punto di partenza: la vicenda della vita siamo infine noi stessi.
Secondo me, in Modiano la ricerca di se stesso risulta ancora più frustrante. Il ricordo, difficilmente ricostruito, non conduce a niente, la vita non approda a niente. Proust rompe le catene del tempo per afferrare il significato delle cose, Fellini comprende che il senso della vita siamo noi. Modiano, che si serve della memoria per resuscitare l’esistenza, non riporta in vita i sentimenti, le passioni, gli slanci, ma solo il dolore. La consapevolezza, in fondo, che sia meglio che tutto resti sfocato, che si dissolva nel nulla, unico, vero destino dell’uomo.
Insomma, Via delle Botteghe oscure si legge con piacere e la scrittura è agile, ma il tessuto che la trama tesse risulta alla fine senza conclusione, come una vita non vissuta. Un messaggio di un pessimismo atroce.