Ci sono diversi elementi che, a mio avviso, fanno di questa prova letteraria di Marco Rodi un’opera matura, frutto di padronanza stilistica per un contenuto assolutamente di rilievo.
Secondo il mio parere, il tema primario non è tanto lo sfruttamento della prostituzione (che rappresenta comunque il caposaldo di tutto il corpo narrativo), quanto l’universale contrasto fra il bene e il male, che qui si analizza nel rapporto tra uomo e donna, percepito attraverso variegate esperienze e quindi multiforme, vero ed efficace. L’assunto della prostituzione e dei suoi sfruttatori criminali, quello della violenza sulle donne, la riduzione in schiavitù, il rapporto cliente-prostituta, il tema più generale della benevolenza, addirittura della misericordia e infine dell’amore sono tutti elementi del nucleo centrale dell’opera che è appunto lo scontro fra bontà e innocenza contro malvagità, ingordigia, depravazione. Nella storia, questa relazione dà luogo a un supplizio vero, ma offre anche l’occasione per realizzare qualcosa di pregevole, per un certo verso di sublime.
In questo romanzo l’inizio e la fine sono collegati tra loro da una linea ideale che si curva su se stessa fino a farli toccare. Esiste un’unità di tempo e di luogo fra le prime pagine del prologo e quelle finali, tanto da formare un anello simbolico che avvolge la vicenda, le dà uno spessore filmico, anche se le toglie un po’ di suspense, perché il lettore capisce fin dai primi capitoli che la protagonista uscirà dalla vicenda vincitrice, anche se non certo incolume. Tuttavia questo particolare non sminuisce l’intima sofferenza che si prova nel partecipare alle vicissitudini di questa vittima sacrificale sull’altare della voracità umana.
Irina è il personaggio chiave di tutto il romanzo e la sua storia si dipana attraverso gli incontri con vari soggetti che incrociano la sua vita. Ne risulta un caleidoscopio di vicende che non dà respiro al lettore e gli dona un posto in prima fila al cospetto di un mondo inquietante, raramente visto così da vicino.
Ella dà alla figura della prostituta un alone d’innocenza che fa sentire colpevole chiunque abbia deciso di ignorare quel mondo perché pensa si trovi al di là della propria esperienza personale. La vicenda di Irina e della sua compagna Valia toglie ogni forma d’ingenua purezza dagli occhi del lettore, spingendolo in un ambiente reale e osceno, dove il contrasto fra il bene e il male è giocato sempre ad armi impari: il bene è ignorato, offeso, umiliato e per conquistarsi la liberazione deve combattere con le stesse armi, deve agire con la medesima trama politica del male.
Accanto al personaggio della vittima innocente ruota una galleria di dramatis personae che giocano i loro ruoli arricchendo la scena di pathos, di angoscia e perfino di umorismo.
Macho è il personaggio più complesso e vivido: si staglia sulla scena con le sue sfumature e ambivalenze che ne fanno fin da subito una “simpatica canaglia” indimenticabile.
Rigo è un vero villain shakespeariano senza speranza, dall’animo nero profondo. Il suo personaggio immette nel lettore un’angoscia smisurata, poiché si sa che simili esseri non sono invenzione di una mente fervida, ma hanno un posto nella realtà di tutti i giorni.
Pieraldo, infine, è l’animo nobile che corre in aiuto del debole, ma non appare come una figura armata d’innocenza e di coraggio, egli è la personificazione di ognuno di noi ed è reso credibile perché ha le nostre debolezze, i nostri timori, le incertezze, gli slanci, il nostro buonsenso. Il suo è un amore vero che sa rinunciare alla felicità come solo una persona veramente innamorata sa fare.
Infine, le parole per dirlo.
Lo stile è parte integrante del contenuto, è la sua essenza. Per narrare di situazioni sporche l’autore usa parole aspre, immagini forti ma mai indecenti. Per descrivere la profonda malvagità umana e la bassezza delle azioni vengono usati concetti ed espressioni che trafiggono, che sono oscene per ciò che rappresentano, ma non sono offensive per il lettore.
Per l’angoscia: Si persero ognuna nelle lacrime dell’altra in un abbraccio disperato, fraterno, sotto lo sguardo divertito dei loro aguzzini.
Per il dolore: …stanca di essere vessata, percossa, minacciata, usata come carne da godimento, come fonte di guadagno, come sputacchiera per gli ubriaconi, come oggetto da toccare, palpare, ciucciare, leccare, insudiciare.
Per la disperazione e il senso d’ingiustizia: Forse Dio volendo, avrebbe potuto fulminare con un infarto quel maiale.
Ma era imperscrutabilmente assente.
Per lo humor (necessariamente nero): T’aspetto bestione! Quando vuoi, ma sta attento perché io ti cavo la pelle degli occhi e mi ci faccio un bell’ombrellino da sole!
Un ultimo punto da rilevare: appare assolutamente voluta e rilevante la scelta dell’isola d’Elba come ambientazione sia del prologo (il cimitero di Sant’Andrea) sia della conclusione (la casa di Pieraldo), sia di qualche capitolo finale. Chiunque abbia visitato o meglio abbia vissuto qualche mese in questa terra aspra, immersa in un’atmosfera di bellezza luminosa, di calma e di torpore sa che è il luogo più adatto per trovare un lenimento alla sofferenza, per rappacificarsi con l’umanità. Qui, Irina trova anche il suo ultimo, definitivo conforto e, la storia, il suo compimento simbolico.