Un libro raffinato e malinconico che ci regala descrizioni meticolose come solo i grandi classici sanno dare. La rappresentazione di una Sardegna quasi irreale nel suo clima piovoso d’altri tempi fa da perfetta scenografia a questa vicenda “grigia”. I personaggi sono maschere appartenenti ad un’umanità di “piccole” creature che si muovono con lentezza esasperante come fossero consapevoli dell’inutilità dell’agire. L’autore non crea una satira contro la magistratura, come potrebbe sembrare a prima vista, ma si lamenta dell’incapacità dell’uomo odierno di dirigere il proprio cammino verso mete conclusive. È l’uomo di Montale il vero protagonista e qui egli è consapevole di non essere in grado di arrivare alla verità ultima delle cose, perché niente può essere svelato; la risposta definitiva è l’indeterminatezza delle cose umane, l’inutilità di lottare contro i cocci aguzzi in cima alla muraglia. Questo romanzo, che è intinto di un pessimismo sottile e acuto, deve molto alla Sicilia di Sciascia e alla Dublino di Joyce e aggiunge a questi due luoghi l’atmosfera dell’Italia fine anni settanta che molti di noi hanno impressa nei ricordi.