“Non lasciarmi” è un libro scritto benissimo, un esempio di romanzo distopico che è una denuncia contro la società attuale, contro il mondo in cui viviamo e quello in cui potremmo vivere presto. Per questo, il lettore è fortemente spinto alla riflessione come spesso succede con i migliori romanzi di questo tipo che sono spesso metafore (o allegorie, pensiamo a Gulliver’s Travels) e sono quindi educativi. La donazione di organi con il relativo completamento del ciclo vitale sono la metafora della nostra morte naturale, che accade con il disfacimento graduale del nostro corpo. Per questo non ha nessun senso che i protagonisti si ribellino, così come non ha senso che ogni essere vivente si opponga al suo destino.
Secondo me, sono la vita, i rapporti umani, i sentimenti, l’amicizia, il sentire quotidiano che possono allontanare il pensiero del trapasso; essi sono i veri protagonisti della narrazione e NON la morte che, pur aleggiando invisibile dall’inizio alla fine, non viene mai descritta nei suoi macabri rituali. Kazuo Ishiguro ci dice insomma che la fine è inevitabile, per tutti noi e che l’unico modo per affrontare l’angoscia che la certezza di essere destinati all’estinzione ci lascia, non è quello di lottare contro la fatale mietitrice, perché perderemmo sempre, ma quello di vivere la vita al meglio e, se ne siamo capaci, anche quello di ricordare e raccontare i nostri giorni, quelli belli e quelli brutti. Il ricordo è l’unico modo per noi tutti di acquistare un po’ di immortalità.
I dibattiti che il libro solleva sono e saranno sempre più pregnanti: che cosa significa vivere, e morire? Abbiamo uno scopo nella nostra vita? Che significa avere un’anima? L’autore li pone sul piatto con leggerezza, senza dare il suo parere esplicito, senza forzature. Egli però riesce a infondere in ognuno di noi la voglia di trovare dentro di noi le risposte.