Molti nel mio gruppo di lettura hanno parlato della trama, cercando di esprimere ciò che, secondo loro, era veramente successo nel romanzo. Ma io penso che in questo caso l’intreccio non sia importante, o meglio è importante, anzi essenziale, rendersi conto che, come ogni vicenda umana che si svolge e si consuma, la verità dei fatti non è una, ma è costituita da una rete. Un intreccio di pensieri, di cose dette o taciute, di amori, passioni, rancori, vendette dalle mille sfaccettature. Conoscere il perché dei fatti, la loro intima motivazione non è solo difficile, è impossibile. E’ meglio non cercare di sapere, non indagare; è meglio dare alle fiamme la prova ultima che ci può avvicinare a quello che riteniamo possa essere la verità dei fatti: corriamo il rischio di aumentare il nostro dolore o peggio, di fraintendere e di perderci nella rete labirintica dei pensieri altrui. Ciò che possiamo fare è solo parlare con noi stessi, come fa il protagonista, che sembra rivolgersi a Konrad, ma invece parla solo con se stesso. Ci possiamo avvicinare solo alla conoscenza di noi stessi, impresa già difficile. Conoscere l’altro è assolutamente impossibile. Il fascino di quest’opera è che ognuno può dare l’interpretazione che vuole, può vedere la SUA verità, perché non esiste UNA verità da sapere, nemmeno quando essa sembra ormai trovarsi lì sul piatto a nostra disposizione. In quest’opera il flusso di pensieri è l’impalcatura potente che serve per raccontare una vicenda di amore e di amicizia che è soffocata dall’incomunicabilità e dalla morte, vere protagoniste della narrazione.