Sono molto affezionato a questo racconto che ha conseguito la Farfalla d’argento e la menzione speciale della giuria alla 33a edizione del Concorso 50&Più. Coloro che l’hanno letto mi hanno detto che parla della dignità e della solitudine, che è delicato, poetico, vibrante, musicale, che è immerso in un’atmosfera magica in cui si muove un personaggio reale, con tutte le debolezze e le manie tipiche degli anziani, che crede che, almeno nella notte di Halloween, “ogni volta che apriamo gli occhi decidiamo quale realtà creare”. Un desiderio, una speranza, un sogno.
La magica notte di Halloween è il racconto che apre la raccolta Particelle (ALA LIBRI, 2020).
Ecco il racconto.
Anche se sua moglie era morta, Giovanni le parlava ogni giorno. Lo faceva alla sera, seduto alla finestra di camera, quando una coltre di silenzio calava lentamente sulla città e tutto acquistava morbidezza. Il cielo diventava di velluto e l’aria si purificava dall’odore dei veicoli frettolosi.
«Ma dove andranno così di corsa», chiedeva ad alta voce Giovanni e ogni volta aspettava per qualche istante una risposta che non veniva mai. L’uomo, quasi ottantenne, viveva solo da quando, due anni prima, un brutto male gli aveva portato via Lucia, la compagna della sua vita.
Il figlio che viveva in America e i rari amici gli avevano consigliato di prendersi una badante. Non tanto per farsi accudire nelle necessità quotidiane, ma piuttosto per avere un po’ di compagnia, qualcuno che ciabattasse per casa, con cui scambiare due chiacchiere e che magari sapesse preparare qualche piatto un po’ più elaborato della solita, tristissima minestrina di dado o del fiordilatte con l’insalata.
«Guarda che la mozzarella è piena di grassi», lo rimproverava il figlio su Skype da San Francisco.
«Ho imparato a cucinare, vedrai quando vieni. Ti leccherai le dita!», mentiva Giovanni.
Il suo amico Fabio un giorno al telefono gli disse: «Come fai a startene da solo? Ascolta, c’è un’ucraina di cinquantasette anni che ha perso il lavoro. La signora che assisteva è venuta a mancare. Ti do il numero, chiamala».
«Risparmia il fiato», ribatté bruscamente Giovanni. «Per discorrere non c’è problema. Parlo ogni giorno con Lucia e, anche se non mi risponde, sono contento lo stesso. Penso che mi senta, in un modo o nell’altro».
L’ultima sera di ottobre, Giovanni si sentì solo per la prima volta. Forse per colpa di quei due mocciosi del quinto piano che gli avevano suonato alla porta e, guardandolo con occhi troppo furbi per essere due bambini, gli avevano imposto: «Dolcetto o scherzetto?».
L’uomo, che non teneva dolci in casa per via del diabete, aveva risposto: «Scherzetto», convinto di spiazzarli.
I due monelli non avevano saputo come reagire solo per un centesimo di secondo, poi quello più alto aveva tirato fuori un’enorme pistola trasparente piena di un liquido giallognolo molto sospetto e chiudendo un occhio aveva mirato al volto di quel vecchio impudente che osava rifiutare loro la giusta ricompensa.
«Ah è una rapina, brutti mascalzoni», aveva ribattuto Giovanni per niente intimidito. Era stata la parola “mascalzoni” a sorprendere i due e a lasciarli a bocca aperta. Allora l’uomo aveva estratto dalla tasca una banconota da cinque euro e l’aveva data ai gangster in erba. Quello più alto, senza abbassare l’arma letale, aveva agguantato il denaro e l’aveva fatto sparire nel sacchetto del bottino che il complice teneva stretto a sé. Dopo essersi toccati la tempia con la punta delle dita come fanno i Marines, i due si erano precipitati sghignazzando al piano di sotto per una nuova scorreria.
Giovanni quella sera si sentiva abbandonato. Aprì la finestra, spalancò la persiana e si sedette a fissare la volta del cielo. Con il mento posato sul dorso delle mani, appoggiò al davanzale tutta la sua vecchiaia. La notte era ancora illune e, al di sopra dei palazzi, le stelle, esaltate dall’aria del nord, gli sembrarono quelle della sua infanzia. Erano tanto lucenti da apparire persino sfrontate per una serata di pieno autunno. Riconobbe Giove che dava spettacolo a est, accanto all’occhio fulgido di Aldebaran. Si ricordò che occorrevano alcune decine di anni alla luce per percorrere lo spazio fra quella stella e la Terra. Sessanta, per la precisione. Un battito di ciglia, se paragonati alla grandezza dell’universo.
«Sessanta anni luce», disse, come rivolto a qualcuno nella stanza. «Se un abitante di un pianeta che ruotasse intorno ad Aldebaran avesse un telescopio potentissimo e lo puntasse verso la terra, vedrebbe il mondo negli anni felici della nostra gioventù. Per quell’osservatore, tu esisteresti ancora, Lucia e noi saremmo ancora insieme».
Improvvisamente si ricordò di un libro. Si alzò e corse nello studio. Lo trovò nascosto in seconda fila nella sezione scientifica della libreria. Aveva lasciato un segnalibro proprio nella pagina che lo aveva colpito. «La meccanica quantistica», esclamò». Cominciò a leggere ad alta voce: «La materia non è ciò che pensiamo sia. Quando i nostri occhi sono chiusi e noi non guardiamo, ciò che esiste sono “onde di possibilità” e quando invece apriamo gli occhi e guardiamo, esse diventano “particelle di esperienza”». Continuò con enfasi: «Siamo noi, con l’azione del guardare, che congeliamo nell’attimo l’onda, trasformandola in particella. Quindi, ogni volta che apriamo gli occhi decidiamo quale realtà creare».
Ripose il libro al suo posto e rimase per un paio di minuti in piedi, a pensare appoggiato alla libreria.
Poi, si affrettò a prendere un vecchio album di fotografie da un cassetto della scrivania. Lo sfogliò con le mani tremanti finché non trovò la foto che cercava. Era una vecchia istantanea di sessant’anni prima. La sfilò con cura dalla pagina e la guardò soddisfatto. C’erano lui e Lucia a vent’anni, su una spiaggia. Lei sorrideva alle spalle del suo innamorato e gli teneva le mani sugli occhi come per chiedergli: «Chi sono?». Un attimo magico che entrambi avevano rivissuto numerose volte insieme.
Con la foto in mano, tornò alla finestra di camera e si sedette di nuovo ad ammirare la luce calda di Aldebaran. Abbassò lo sguardo sulla sua donna e pensò che quel giorno di sessant’anni prima e quella stella gialla nel cielo erano alla stessa distanza dal “suo” presente.
Per strada, una strega e un mago si rincorrevano ridendo. «Non mi toccare o ti faccio sparire con una formula magica!», gridò lei raggiante.
«Nella notte di Halloween tutto è permesso!», ribatté il ragazzo con tono da film dell’orrore.
Giovanni sorrise e chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, due mani gentili sigillavano il suo sguardo. Dio mio, come adorava il profumo dei suoi capelli!