Non ci possiamo avvicinare a Mike Oldfield se non iniziamo con il dirompente Tubular Bells.
Come leggiamo su www.ondarock.it, questo album fu pubblicato nel 1973 ed è dunque il primo album di un musicista appena ventenne. È “composto da un esteso brano in due tempi che trae linfa vitale anzitutto da un’assoluta padronanza degli strumenti, dei rispettivi spettri timbrici e delle loro concatenazioni creative (tanto naturali quanto artificiali, ma anche virtuose, liriche e geometriche). (…) Questo debutto sarà soprattutto ricordato come nuovo fulcro d’ispirazione per il rock di Canterbury e in generale per l’art-rock e le pagine colte di lì a venire. (…) Per non parlare dell’ampio raggio delle molteplici influenze, che virano con eccezionale fluidità dalla psichedelica alle musiche dal mondo, dal jazz-rock all’hard-rock, dalla pura improvvisazione avanguardistica al panneggio sonoro tout-court, in un tutto che sarà anche annoverato tra i capisaldi della New Age dei primordi”.
Ascoltiamo la Part One nell’esecuzione live registrata alla BBC
Ascoltiamo la Part Two:
Qualsiasi parola per descrivere questa musica è inadeguata. Possiamo solo tentare di esprimere ciò che proviamo ad ascoltarla.
Inquieta vibrazione
integra, ossessiva, permanente,
meravigliosa creatura sovrumana
che sboccia nelle melodie eterne
sotto la luna scintillante delle pinete del mare
o nelle terre offuscate da cieli di nebbia.
Ho cantato da solo
nel chiarore dell’aurora
l’avventura del sole nascente
ed ho sentito un coro amico.
Lentamente ha virato nel blues
e mi ha accompagnato fino alla sera.
Un crescendo di fantasia riempie l’aria
e balena nel divertimento delle Tubular Bells
che sommano suono e geometria,
fino al piacere.
Il resto è solo notte ricamata di accordi
e rallegrata da rock allucinato
sfaccettato, sinfonico:
una serenata virtuosa
sotto il balcone dei nostri pensieri,
in cerca di soccorso dal furore del tempo.
Perciò balliamo, oggi siamo uniti
nella danza dei cuori
che vogliono esistenza.
Nel ’92 Mike Olfield fa uscire il secondo capitolo di Tubulrs Bells ma è il 1998 che vede la conclusione di questa “saga musicale” con il magistrale Tubular Bells III.
“Mike Oldfield, stavolta tronca con il passato e crea qualcosa di veramente nuovo. Leggiamo la recensione di Roberto Gasperini su www.mikeoldfield.it
Si inizia con The Source Of Secrets che riprende il tema base del primo Tubular Bells e lo rielabora in chiave dance con grande magistralità. Segue poi The Watchful Eye … e via di seguito con brani che spaziano dalla etnica alla gitana, al rock. Spezza la suite Inner Child quasi un inno, cantato con dei superbi vocalizzi, ma ecco giungere il pop di Man InThe Rain assolutamente simile alla indimenticabile Moonlight Shadow. Segue quindi Top Of The Morning una stupenda melodia su pianoforte in cui si fondono le radici scozzesi di Oldfield con il toccante suono della cornamusa. La successiva traccia ha quindi lo scopo di introdurci le ultime due composizioni che definire memorabili è poco. Secrets e Far Above The Clouds vanno ascoltate in sequenza in quanto l’una completa l’altra. Quasi nove minuti di musica che conclude in pompa magna questa saga durata 25 anni. Oggettivamente è tra i più bei finali che si siano mai ascoltato in un disco. Secrets inizia ripercorrendo il tema della prima traccia con un base più danzereccia, combinandosi con cori dal sapore etnico, e giungendo il proprio apice con dei riff di chitarra per poi improvvisamente calmarsi e dare spazio a Far Above The Clouds. Rimane il ritmo sostenuto, vengono reinventati i cori etnici che si concludono con l’innocente voce di una delle figlie di Mike Oldfield che annuncia: “and the man in the rain picked up his bag of secrets, and journeyed up the mountainside, far above the clouds, and nothing was ever heard from him again, except for the sound of Tubular Bells“. L’atmosfera si placa, non si ode più nulla ed improvvisamente esplodono le campane tubolari, un ritmo forsennato, giri di basso ripresi da The Bell del secondo capitolo ed una chitarra che si inserisce a mano a mano ed ecco infine ritornare le voci fanciullesche. Un’immensa energia trasuda dal freddo supporto digitale. L’orgia strumentale che si crea si affievolisce man mano dando spazio al conclusivo canto gioioso degli uccelli che come in un’ immenso prato verde scozzese. Un lavoro di immensa fattura, un po’ criticata per le sue tendenze techno, che pecca soprattutto nel nome che poco si addice ai precedenti lavori. La qualità delle single tracce vanno dal buono all’indimenticabile e personalmente lo consiglierei a chiunque voglia ascoltare un’opera adulta, di impeccabile qualità e professionalità. (Roberto Gasparini, www.mikeoldfield.it
Ascoltiamolo nel Live di Londra del 1998.
Il tempo straordinario
straripa in vibrazioni e memorie,
e ci guida alla fonte di tutti i segreti,
per sopravvivere al flusso pallido dei giorni.
La materia fu luce e gioiello,
ardore, ritmo, una grazia danzante
per i bambini dell’innocenza
che nacquero dalla passione
nelle ore degli incanti e delle lodi.
In quest’aria di un giorno non ancora sfiorito
pulsazioni conosciute abitano le vesti
e tornano per incontrare stanche vittorie
o esitanti rinascite.
Un giorno, ci vedranno salire
sul fianco della montagna
con la borsa dei segreti.
Poi, niente di noi resterà, niente
eccetto il suono delle Tubular Bells.
L’album Light + Shade del 2005 è strutturato in due parti, Light dal suono progressivo e quasi trance, e Shade, più oscuro e malinconico.
Il brano Blackbird appartiene a quest’ultima parte.
Ho voglia di cantare al cielo scuro della notte,
per condividere il desiderio che accompagna
lo spettro dei miei pensieri,
ho voglia di imparare dalle luci spillate nel nero
a volare verso un significato,
a cercare un cammino dove forse non c’è.
Ho voglia di sentirmi amico dell’immenso.
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